Tutto quello che prova dolore merita di non soffrire. L’ha detto un ragazzino due anni fa mentre suo padre mi spegneva la sigaretta addosso, e da allora non l’ho più dimenticato.

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Non saprei dire se gli altri oggetti sono come me, perché nemmeno io posso muovermi e visti da fuori sembriamo tutti uguali. Spesso guardo il portatovaglioli e cerco di capire se anche lui mi sta guardando, se può pensare e può farsi le stesse domande. A volte sono convinto sia così e se succede qualcosa di buffo gli lancio un’occhiata come per dire “ah ah, hai visto? Questa ce la ricorderemo a lungo!” e ridiamo a crepapelle. Ridiamo davvero un sacco insieme, credo.

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Essere il posacenere di una tavola calda ha dei vantaggi perché da quando è vietato fumare sono stato promosso a oggetto ornamentale. Se però potessi scegliere, se davvero potessi seguire la mia strada, proverei col cabaret. Ho un sacco di tempo per inventare le battute e allo stato attuale ne ho alcune molto molto buone. Sentite questa per esempio: “Non capisco tutte queste moine sul concetto di donna oggetto: sono gli oggetti donna a essere difficili da trovare.” Bella eh? Sono sicuro che il portatovaglioli se la farebbe sotto.

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C’è una ragazza nuova qui alla tavola calda. Pelle chiara, denti perfetti, non sa di essere bella. Prende le ordinazioni e serve i clienti. È ancora un po’ impacciata ma dovreste sentire i commenti quando si allontana dal tavolo. Oh, diamine, non sapevo ci fossero tanti modi per dire fondoschiena. Si trattiene fino a tardi per pulire il locale. A volte quando gli altri vanno via e pensa di essere sola si siede al mio tavolo, mette una mano sulla testa e piange. Piange tanto, si dispera, singhiozza. Non so perché.

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E vorrei dirle “ehi, Giulia, non piangere, non piangere più”, ma non posso.

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La seconda scelta sarebbe la scrittura. Ho in mente questa storia di un tizio che finisce di scrivere un romanzo. Il giorno dopo, mentre passeggia in un centro commerciale, un libro attira la sua attenzione. Lo afferra di scatto, lo apre. È il suo romanzo, parola per parola. Pubblicato trentacinque anni prima. Da un altro. Ora non so bene come continua, però alla fine si scopre che era il libro a scrivere le persone.

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Sono già due settimane che non viene. Nessuno ne parla.

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E forse passeranno due anni, forse venti, forse cento, prima che qualcuno si accorga di quanto sono malandato e mi getti via, ma in fondo non ho paura perché ho capito che c’è qualcosa che non cambierà mai: questo soffocante senso di solitudine.